domenica 25 agosto 2013

QUALORA

Vuoi andare a scuola o all'asilo? - mi fa. Avevo tre anni e mica la sapevo la differenza tra le due alternative, sapevo solo che avrei dovuto dare una risposta decisa, come lui s'aspettava, e così dissi "alla tilo". Né sapevo ancora che quell'espressione sul suo volto, quell'espressione che seguì, aveva un nome e questo nome era delusione e la vidi senza saperne il nome e la sensazione era mia ed era brutta, come di ansia come di irrecuperabilità. Così passò un anno, liscio liscio. Ma poi l'anno seguente lui tornò all'attacco con la stessa domanda e stavolta risposi, tanto per cambiare, "a scuola". Ormai ero grande. La maestra disse va bene, disse, proviamo qualche mese, disse, qualora il ragazzo andasse bene, qualora disse (una parola da tenere d'occhio), qualora andasse, allora, disse.

A scuola ci sono andato la prima volta che avevo quattro anni e il malessere che da lì è cominciato me lo porto ancora con me, il malessere che sono io, buongiorno, sono io. Senti papà, signora maestra, sentite, il difficile non era fare le stanghette dritte, quelle le ho sapute fare. Il difficile era integrarmi con gli altri e non sentirmi a disagio. Questo no, non ci sono riuscito. E non ci sono riuscito più, nella vita, infatti sono a disagio con gli altri perché mi sento diverso da tutti e questa sensazione mette una barriera all'empatia. Una barriera come una stanghetta, dritta, che ho saputo fare.

Mi piaceva andare a scuola e anche tornare da scuola, quello che non mi piaceva era tutto quello che stava nel mezzo. Il primo anno mi accompagnavano, non mi ricordo niente, solo il corso di inglese dopo le lezioni (picture, chair, horse, table, mai naim is maaco, uotz ioo naim?) e un mio compagno che piangeva sempre ed era americano. Gli chiesi se piangeva perché era americano ma non capì il nesso e nemmeno io, fece no con la testa, the naysayer.

Il secondo anno andavo da solo. Ormai ero grande. Per andare e tornare dovevo attraversare un bel prato curato con un alberello di corbezzolo che mi sembrava molto grande, ma non poteva esserlo davvero, ed era carico di frutti rugosi gialli e rossi che staccavo per tirarli sulla strada e vedere cosa succedeva quando un'automobile li schiacciava, passando. La scuola era di là della strada, c'erano poche automobili e io sapevo che dovevo guardare di qua e di là prima di attraversare, e ci andavo a scuola, controvoglia ma ci andavo, col grembiule blu e il fiocco bianco, con la cartella semivuota in spalla e un disagio enorme nel cuore. Era difficile perché c'erano gli altri e potevano vedermi, gli altri inquisitori, giudicanti, osservatori della mia diversità, gli altri così altri. Sarebbe stato un mondo bellissimo non ci fossero stati loro, se fossimo stati solo io e e il prato verde e il corbezzolo e i frutti e la strada deserta e il guardare di qua e di là lo stesso, e la cartella grembiule fiocco e la scuola vuota coi cartelli appesi: Albero, Bicicletta, Casa. Disagio.

Nella mia classe c'era, allievo, il figlio del bidello. I bambini non sapevano il suo nome, era per tutti il figlio del bidello, ed era particolare poiché usava un lessico curioso e sconosciuto ai più. Ad esempio diceva "assedia" per "sedia", diceva "cranio" per "testa", troncava tutti i verbi all'infinito (vede', sta'), diceva "ito" per "andato" e "'nteso" per dire sia "sentito" sia "capito". Una volta la maestra lo fece sedere vicino a me, ma mentre io volevo stare attento lui volle a tutti i costi spiegarmi i primi rudimenti del sesso. Ao - disse, sgomitando - se ciai la pischella, cellai? ci devi da fa' er sesso, cioè all'ammore. Come si fa? - mi informai. Ce devi ficca' er cazzo naa fregna e spigne e smòve - disse con aria esperta e facendo un gesto con il pugno semichiuso. Io sapevo più o meno cosa fosse il  pene ma non il cazzo, lo avevo confuso con i testicoli, quindi non capendo gli chiesi spiegazioni, ma, dissi, ma scusa come fa a entrarci il cazzo se è tutto morbido e sono un po' due? No, mi fa, bada che quanno che stai là che lo stai a fa', te diventa duro, come presempio quanno che tu' madre te fa er bagno e smùcina. Ma scusa - faccio - ma non sarebbe meglio infilarci il pene? No no - disse - 'nce mette robba, er cazzo ce devi ficca', bada che ce cape, eppoi è bello e dopo mpo' sburi. Non avevo capito tutto ma non volli approfondire perché la maestra aveva iniziato a guardarci.

Poi c'era una bambina che era bellissima per i seguenti motivi:

  1. Era mora (quindi non come mia madre)
  2. Era molto riccia (vedi sopra)
  3. Era intraprendente
  4. Aveva visto oltre la mia barriera 
  5. Varie 
La bambina si chiamava Giovanna. Un giorno la bambina Giovanna chiese alla maestra se si poteva sedere lì, indicando col dito il banco dov'ero io. Mi vergognavo e non mi girai per guardare dove fosse "lì" ma capii che c'erano rogne in vista e mi concentrai al massimo per vedere se fossi riuscito a sparire. Non funzionò. La maestra non ebbe nulla da obiettare e la bambina Giovanna mi sedette accanto, disse ciao, io mugugnai guardandola di sottecchi, rogne in vista, allora mi passò un foglietto sotto al banco, io lo lasciai lì, rogne in vista, e lei disse "non lo leggi?", sì, dissi, rogne, non avevo scelta, lo lessi, facevo la seconda elementare, avevo cinque anni, sapevo leggere, e il foglietto era scritto con un inchiostro turchese che mi piacque tantissimo, rogne, dopo averlo letto lo rimisi sotto al banco, come se nulla fosse successo, come se io non fossi esistito, come se non avessi potuto cambiare la storia con la mia semplice lettura di un semplice foglietto scritto ad inchiostro turchese dalla bambina Giovanna, bellissima per cinque motivi, rogne. Invece no, la storia si cambia, eccome, la cambiamo tutti anche con la lettura di un semplice foglietto, sul quale ad inchiostro turchese era chiaramente scritto: "Vuoi essere il mio fidanzato?". 

Femmina spregevole. Ora ci si aspettava qualcosa da me, proprio quello che volevo evitare. E io zitto. E lei tenace: "Non mi rispondi? Ci vuoi pensare?". A sette anni si può essere già donne. Feci un cenno con la testa che poteva significare sì, ma sapevo che ero spacciato, avrei dovuto rispondere prima o poi, non se lo sarebbe dimenticato. Ma cosa si sarebbe aspettata da me, una volta fidanzati? A quali scomodi doveri sarei andato incontro? Ad infastidirmi era la mia inadeguatezza, più che la situazione, ma non potevo pensare di non rispondere e farla franca. Come previsto tornò dopo qualche giorno a sedersi accanto a me, fissandomi con aria autorevole, ineluttabile e definitiva, e puntando i pugni sui fianchi e coi gomiti appuntiti e alari, chiese: "Allora?". Rogne. Siccome avevo più vergogna a dire no che a dire sì, scelsi l'unica strada possibile, cioè il patibolo, arrossii di fuoco, e sì. Il suo sorriso illuminò l'aula, fece scomparire la maestra e tutti gli altri alunni, bruciò i cartelli appesi Albero Bicicletta, uccise il figlio del bidello e crollarono i muri, la storia suonò il suo gong, bambina Giovanna il tuo sorriso di perle era valso tutte le pene del mondo ed ora eravamo due, giganteschi e inutili e incendiari e assassini, qualora, noi.

7 commenti:

  1. Da grande voglio rinascere bambina giovanna. Io da piccola volevo essere badessa che mi pareva che badessa natalia suonava bene, ma bambina giovanna è più bello, bambina giovanna è di più.

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  2. Te lo scrivo anche qui: bellissimo.
    E c'è poco altro da aggiungere.

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